LA CALABRIA HA FATTO UN SOGNO
CRIMINALITÀ INTERVISTA AL PRESIDENTE DELLA REGIONE AGAZIO LOIERO, DEL CENTROSINISTRA
LA CALABRIA HA FATTO UN SOGNO
Dopo l’omicidio Fortugno, dice il governatore, più volte minacciato, «la gente ha manifestato una forte voglia di legalità. Abbiamo cominciato a cambiare, e questo fa infuriare la ndrangheta, che è la più forte mafia italiana. Anche perché nessuno ne parla».
Agazio Loiero, presidente della Regione Calabria, vive blindato e un po’ se ne vergogna: «È una spesa enorme per lo Stato».
Vede scorrere le città dietro i vetri corazzati dell’auto, sceglie percorsi sempre diversi, decide per il treno, la macchina o l’aereo all’ultimo minuto.
- Presidente, ha paura?
«Non sono un eroe, ma non mi sento solo. Sono stato anche ministro, ma non avevo mai sentito così vicina la gente come ora. Sono esposto, è vero. L’assassinio di Fortugno era chiaramente un messaggio diretto a me».
- Però quell’omicidio ha creato un movimento spontaneo e totalmente inedito di protesta…
«Certo e mi ha meravigliato. Nella Locride prima di Fortugno sono state uccise 24 persone e non sono mai stati trovati né il mandante né i sicari. Significa che ci sono un dominio assoluto della criminalità e una rete di omertà fittissima. La gente per strada incontra l’anti-Stato più che lo Stato».
- La responsabilità di chi è?
«C’è stata negli ultimi anni negligenza da parte dello Stato. Dopo l’omicidio Fortugno, il ministro dell’Interno ha inviato il prefetto Luigi De Sena, un dirigente di altissima qualità, e ha mandato nuove forze dell’ordine. Ma dove c’è una criminalità molto agguerrita, ricca e pervasiva, perché lo Stato possa dare una risposta occorre una combinazione di elementi di carattere sociale, economico, investigativo e di intelligence. Non vorrei caricare il prefetto di troppe responsabilità: tra l’altro, mi risulta che sia senza un quattrino e non sappia cosa fare. Il Governo ha altri problemi».
- E la magistratura?
«Il Csm ha grandi responsabilità. Nelle zone più esposte come la Calabria, deve impegnarsi per coprire bene i posti in organico. Il fatto che proprio a Locri la sede del procuratore della Repubblica sia rimasta vacante per mesi non è la risposta giusta alla criminalità. C’è un’attitudine diffusa all’illegalità. La si vede anche dalle piccole cose: si va in moto senza casco, non si rispettano i sensi unici. Vedo in giro una sorta di assuefazione che crea i presupposti a una normale illegalità. Questo è il principale problema».
- Chi deve agire per primo?
«Intanto diciamo chi non ha mai agito finora: la famiglia e la scuola».
- E la politica?
«Le collusioni sono enormi. E purtroppo, da noi, normali. Lo Stato, dopo gli omicidi di Falcone e Borsellino, si è concentrato sulla Sicilia e ha permesso alla mafia calabrese di crescere a dismisura. L’organizzazione criminale da noi è di tipo parentale: le famiglie si dividono il territorio e incentivano i matrimoni tra loro. Il vincolo del sangue ha ancora un’importanza enorme e anche per questo sono pochissimi i pentiti della ’ndrangheta. Oggi la criminalità calabrese è la più forte del mondo».
- Lei si è fatta una ragione dell’omicidio di Francesco Fortugno?
«Intanto, stabiliamo che si è trattato di un omicidio di mafia e che chi ha ucciso ha voluto dare un segnale. Fortugno era un cacciatore, non aveva scorta, bastava aspettarlo all’alba in campagna. Invece il sicario ha scelto la domenica delle primarie dell’Ulivo, ha sparato al seggio, è uscito tranquillo ed è sparito nel nulla. Tutto ciò ha un altissimo valore simbolico. Finora la ’ndrangheta non aveva mai ucciso un politico e si era limitata alle intimidazioni. Questa volta ha agito per dire chiaramente al Governo regionale che non piacciono le sue scelte. Fortugno era mio amico».
- Ma lei, presidente, cosa ha fatto?
«Abbiamo avviato quattro o cinque cose. Non so dire quale abbia turbato di più. Intanto, ho mandato a casa, per legge, gli uomini, una settantina, nominati dalla Giunta precedente di Centrodestra nei posti di comando poco prima della fine del mandato. È stata una cosa indecente: ho trovato nomine fatte il 2 aprile e si votava il 3. Abbiamo vinto tutti i ricorsi tranne due, perché le nostre ragioni al Tar sono state sempre accompagnate da una relazione della Corte dei conti sullo stato disastroso degli uffici. Poi abbiamo deciso una cosa che da noi può apparire rivoluzionaria: il trasferimento delle funzioni amministrative alle Province e ai Comuni. La Regione è solo un ente di programmazione. È ovvio che chi aveva un sodalizio collaudato e forte in Regione è stato turbato. Abbiamo deciso di costituirci parte civile in tutti i processi di mafia, perché danneggia l’immagine dello Stato. In uno di essi abbiamo chiesto 3 milioni di euro di danni a una cosca e gli imputati hanno ricusato il giudice. Abbiamo redatto dopo 35 anni il bando per la costruzione della "cittadella" della Regione Calabria, che attualmente paga l’affitto di 382 appartamenti, spendendo ogni anno circa 6 milioni di euro. Quanti interessi abbiamo toccato? Infine la sanità, che assorbe il 65 per centro del nostro bilancio. Nelle Asl le collusioni mafiose sono enormi. Abbiamo portato da fuori 13 nuovi manager per cercare di iniziare la decontaminazione mafiosa delle istituzioni».
- Il ponte sullo Stretto non c’entra niente? Perché si parla solo di interessi della mafia siciliana?
«Bella domanda. Io sono contrario al ponte e lo dico con estrema franchezza. La ’ndrangheta ha forse più interessi della mafia siciliana, ma non si dice mai. Probabilmente è una questione di mentalità. La Calabria è la Regione più abbandonata d’Italia. E ciò permette alla nostra mafia di prosperare. Mentre la magistratura e la società civile siciliane si preoccupano, da noi tutto tace e la ’ndrangheta ringrazia».
- Scusi, perché si è candidato?
«Perché mi sentivo male, ferito nell’orgoglio di calabrese. Quando ho visto i giovani di Locri dopo l’omicidio di Fortugno ho capito che avevo scelto bene. È stata la manifestazione più significativa degli ultimi 50 anni in Calabria. Siamo stati eletti con 20 punti più del Centrodestra. Il messaggio della gente era chiaro, io devo cambiare le cose. Ho cominciato a scalfire la crosta illegittima che copre la società. È evidente che molti si sentono sotto scacco e che qualcuno può cercare di opporsi anche con le pallottole. In tre occasioni me ne hanno mandate una buona manciata. Poi hanno ucciso Fortugno. Le ripeto: ho la giusta paura che mi fa andare avanti».
- La Chiesa di Calabria l’aiuta?
«Molti preti parlano. Da noi è dal pulpito che si smuovono le coscienze. Bregantini, il vescovo di Locri, è l’esempio per tutti. Dobbiamo stargli vicino».
I BOSS CALABRESI? SONO I PIÙ FORTI «La mafia calabrese è uno degli attori principali, a livello mondiale, del traffico internazionale di sostanze stupefacenti e ha un dialogo privilegiato con i gruppi malavitosi sudamericani emergenti, nonché con le organizzazioni criminali di tutto il pianeta». È l’inquietante fotografia della ’ndrangheta che emerge dalla relazione semestrale della Dia (Direzione investigativa antimafia) relativa al primo semestre del 2005. Si ha così la conferma che oggi proprio la mafia calabrese (112 cosche, un affiliato ogni 345 abitanti, un tasso di omicidi 17 volte superiore a quello nazionale) è la pù potente e pericolosa tra le mafie "made in Italy". «La Calabria», prosegue la relazione, «da tempo, è diventata un nodo strategico per l’importazione e l’esportazione di ingenti quantitativi di stupefacenti provenienti dal Sudamerica e dal Medio Oriente, che la mafia locale smercia in loco e sull’intero territorio nazionale fornendo, in taluni casi, persino il mercato siciliano controllato da Cosa nostra (con la quale la mafia calabrese ha stretto una sorta di "patto federativo")». Dove finiscono gli ingenti guadagni derivanti dal narcotraffico? «Sono utilizzati per effettuare operazioni di riciclaggio nei mercati mobiliari e immobiliari, affidate a soggetti insospettabili, immuni da precedenti penali, esperti nel campo delle più sofisticate transazioni finanziarie». Ma nel carnet della ’ndrangheta c’è davvero di tutto: commercio illegale di armi e diamanti, smaltimento di rifiuti solidi urbani e speciali, immigrazione clandestina, estorsioni, usura e infiltrazioni nel sistema degli appalti pubblici. Né potevano mancare le infiltrazioni nelle amministrazioni locali: dal 1995 a oggi sono stati sciolti per mafia 28 Consigli comunali (16 solo in provincia di Reggio Calabria). Dal 1992 al 30 giugno 2005, sono stati sequestrati o confiscati beni di appartenenza ai boss mafiosi calabresi per un totale di 186 milioni di euro e sono state eseguite 2.097 ordinanze di custodia cautelare. C’è anche chi ha provato a fare i conti in tasca alla ’ndrangheta. Secondo l’Eurispes, il giro d’affari della mafia calabrese ammonterebbe a 36 miliardi di euro (22,3 per il solo traffico di droga). |
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