Il dossier. Il prof Vittorio Daniele ha comparato convenienze e diseconomie del Mezzogiorno.
L’analisi In Campania le risorse straniere rappresentano lo 0,16 per cento del Pil regionale. In Puglia lo 0,06 e in Basilicata appena lo 0,04
Il Mezzogiorno attira solo l’1% degli investimenti. Uno studio dell’economista Vittorio Daniele rivela: «Ecco perché incentivi e costo del lavoro inferiore al Nord non compensano le criticità»
Troppa criminalità, capitali esteri lontano dal Sud
Infrastrutture carenti e alto tasso di criminalità: è soprattutto grazie all’incidenza negativa di questi due fattori che il Meridione attrae solo l’un per cento degli investimenti diretti esteri effettuati nel nostro Paese.
Nel solo Nord-Ovest, invece, si concentra ben il 67 per cento delle risorse investite in Italia da imprenditori esteri. Il caso è esaminato dall’economista Vittorio Daniele, docente di Politica Economica all’Università «Magna Graecia» di Catanzaro nella ricerca «Perché le imprese estere non investono al Sud?».
Se l’Italia si mostra poco competitiva nel quadro europeo, il Sud del Paese mostra «svantaggi competitivi» specifici e determinanti. Come reagire? Per Daniele «non è sufficiente compensare tali svantaggi localizzativi incrementando gli incentivi di tipo economico».
Svantaggi competitivi come la carenza di infrastrutture e l’alto tasso di criminalità costituiscono un freno per l’efficacia delle politiche di promozione e sostegno degli investimenti. Ecco perché nonostante non manchino gli incentivi, le regioni del Meridione italiano risultano poco attraenti agli occhi,e ai portafogli, degli imprenditori stranieri. È questa, in estrema sintesi,l’amara considerazione che si ricava dallo studio Perché le imprese estere non investono al Sud?, da poco ultimato dall’economista Vittorio Daniele,docente di Politica economica all’Università«Magna Graecia» di Catanzaro. L’analisi economica, di recente citata in un articolo del Foglio di Giuliano Ferrara e in attesa di essere pubblicata dalla Svimez, prende in considerazione il periodo 2000-2003, con l’obiettivo di valutare quali fattori abbiano inciso sulla consistenza, decisamente modesta, e sul grado di concentrazione territoriale,molto elevato, degli investimenti diretti esteri in entrata nel Meridione d’Italia.Il lavoro dell’economista parte da un dato fondamentale e inequivocabile: il Mezzogiorno attrae solo l’un percento degli investimenti esteri (Ide) in entrata in Italia, peraltro complessivamente di gran lunga inferiori, sebbene in aumento negli ultimi anni, a quelli realizzati nelle altre realtà europee.Il nostro Paese, infatti, nel2003, ha ricevuto il 2,9 per cento degli investimenti diretti esteri effettuati su scala mondiale. Decisamente migliori le performance del Benelux (20,9 per cento), della Francia, (8,4) e dell’Irlanda, ritenuta attraente dal 4,6 per cento degli investitori stranieri.La posizione modesta raggiunta in questo campo dall’Italia nel contesto europeo è confermata anche dall’osservazione di altri indicatori: gli Idein entrata nel nostro Paese nel corso del 2003 rappresentano meno del 12per cento del Pil, a fronte del 32 percento circa della media europea.Quali sono le cause di questa scarsa capacità attrattiva mostrata dall’Italia?«La letteratura economica degli ultimi anni—spiega Vittorio Daniele—ha individuato nel sistema fiscale italiano, nell’inefficienza della pubblica amministrazione e del sistema giudiziario e nella struttura dimensionale delle imprese, le principali ragioni che alimentano la sfiducia degli investitori stranieri. Questi fattori—aggiunge l’economista—pesano negativamente anche sul grado di attrattività delle singole regioni italiane. Per intenderci, è ovvio che anche in Francia o in Spagna esistono realtà locali più o meno competitive. Ma una regione italiana in ritardo, attrae meno investimenti di un’altra regione altrettanto arretrata ma collocata in un altro paese europeo». Una scommessa persa, dunque, almeno per il momento. In base ai dati evidenziati, infatti, appare chiaro che il nostro Paese non ha ancora colto quella che va indubbiamente considerata un’importante occasione di sviluppo regionale. «Gli investimenti diretti esteri — spiega ancora Daniele— contribuiscono all’accumulazione di capitale, alla creazione di occupazione e al trasferimento tecnologico.Se si osservano casi come quello irlandese,poi, appare evidente come la nascita di imprese straniere sul territorio abbia stimolato in maniera notevole l’indotto locale, generando sviluppo e ricchezza. Nella metà degli anni novanta l’Irlanda beneficiava ancora dei fondi di coesione; oggi il suo pil pro-capite è superiore a quello medio europeo».Al centro dell’analisi realizzata dal ricercatore calabrese si pone il «caso Mezzogiorno» che, nel già modesto quadro nazionale, presenta una sua preoccupante specificità: mentre tra il 2000 e il 2003 le regioni del Nord-Ovest hanno attratto il 67 percento di Ide in entrata in Italia, le otto regioni del Sud, come dicevamo, hanno beneficiato di una quota pari circa all’uno per cento dei flussi totali.Il grado di concentrazione territoriale degli investimenti esteri risulta dunque altissimo. Osservando la graduatoria che ordina le province italiane in base alla percentuale di Ide accolti sul totale italiano, l’area di Milano si colloca al primo posto, con oltre 46 punti percentuali. Per leggere il nome della prima provincia meridionale citata, invece, bisogna scendere fino al ventisettesimo posto, dove si scopre che a Napoli è arrivato solo lo 0,15 % delle risorse investite da imprenditori stranieri nel nostro Paese.Delle ultime dieci province, inoltre,ben nove sono meridionali. Altri dati interessanti emergono analizzando l’influenza degli investimenti esteri sul Pil regionale. Anche in questo caso la quota percentuale maggiore, 3,2, si ha in Lombardia. In coda, dopo l’Abruzzo con lo 0,17 percento e la Campania con lo 0,16, tutte le altre regioni del Sud (Puglia: 0,06;Basilicata: 0,04). Sebbene la performance italiana,comparativamente modesta, influenzi l’afflusso totale di investimenti limitandola capacità attrattiva delle singole regioni, i dati denunciano in maniera chiara l’esistenza di fattori regionali specifici in grado di incidere sulla localizzazione degli Ide, agendo come «svantaggi competitivi». Lo studio prende in esame undici variabili: reddito pro-capite e popolazione residente, riuniti nella categoria «variabili di domanda»; il numero di città con oltre centomila abitanti; il costo del lavoro; il tasso di disoccupazione percentuale e il numero di laureati,che danno vita alla variabile «capitale umano»; la dotazione infrastrutturale; la spesa investita dalla pubblica amministrazione in ricerca e sviluppo, il numero di brevetti europei e il tasso di criminalità, indicatori del «contesto socio-economico».L’analisi mostra come tutte le regioni meridionali, a eccezione dell’Abruzzo,presentino valori medi più bassi per quanto riguarda il costo del lavoro,l’entità della dotazione infrastrutturale,il numero di brevetti e la spesa in ricerca e sviluppo; il tasso di disoccupazione e quello di criminalità, invece,al Sud risultano particolarmente alti arrivando, in realtà come Calabria e Sicilia a doppiare il dato medio nazionale. L’analisi prosegue valutando, attraverso una serie di osservazioni basate su delle regressioni, gli effetti delle singole variabili considerate sugli investimenti. Qual’è il quadro che emerge?«Nonostante il Mezzogiorno benefici di incentivi agli investimenti e di un costo del lavoro inferiore rispetto alle aree più sviluppate del Paese —commenta Daniele —la sua capacità di attrarre investimenti esteri è comparativamente bassa. In presenza di specifici disincentivi di contesto, come la scarsa dotazione infrastrutturale e la mancanza di sicurezza, gli incentivi economici si mostrano scarsamente efficaci nell’attrarre potenziali investitori stranieri». Il tasso di criminalità, in particolare, risulta avere un effetto negativo e statisticamente significativo, in grado di neutralizzare fattori altrimenti positivi agli occhi degli imprenditori.Immediate le implicazioni di politica economica di una simile conclusione.Come reagire a fronte di un quadro così preoccupante? Su quali strategie bisogna puntare per cercare di recuperare il gap tra Sud e Nord d’Italiain relazione all’attrazione degli investitori stranieri? Secondo l’autore dello studio compensare gli svantaggi localizzativi attraverso gli incentivi di tipo economico può essere insufficiente:«Se gli incentivi economici si trasformano poi in sussidi assistenziali,essi possono frenare, piuttosto che favorire la crescita economica. I dati — aggiunge Daniele — mostrano come il tasso di crescita del Sud sia aumentato,superando quello del resto del Paese, proprio quando la politica economica di tipo assistenziale è cessata ed è stata sostituita da interventi diretti a migliorare le condizioni di contesto dei singoli territori. In particolare,la recente crescita meridionale è stata sostenuta da un miglioramento della produttività totale dei fattori,ovvero da un recupero d’efficienza. Si può mettere in campo qualsiasi genere di incentivo—conclude l’economista—ma se non si lavora seriamente per eliminare gli svantaggi competitivi di fondo l’economia ne trarrà modesti benefici. A chi investe va garantita la tutela di beni pubblici fondamentali come le infrastrutture e la certezza dei diritti di proprietà,che in altri termini significa sicurezza».
Chiara Marasca