Commenti all'inchiesta di Iacona...
Gentile Direttore,
la recente trasmissione “W l’Italia” ha offerto uno scenario desolante della vita politica calabrese. Colpisce, innanzitutto, il vuoto di idee, di progetti, l’assenza di una visione complessiva dello sviluppo economico e sociale che caratterizza parte della classe dirigente calabrese. È apparso un modo di fare politica in cui a confrontarsi, piuttosto che le idee e i contenuti, sono interessi particolari, personali o partitici. Nel vuoto di idee e di una visione complessiva degli interessi in gioco, è facile che la ricerca del consenso passi attraverso l’elargizione di favori, raccomandazioni, clientele. Rattrista, però, apprendere come anche il diritto dei calabresi ad essere curati, assistiti in tempi degni di un paese civile, possa essere spacciato come una concessione finalizzata ad ottenere un qualche sostegno elettorale.
Non sorprende che la classe politica ricerchi improbabili giustificazioni a sostegno di provvedimenti che, pur formalmente corretti, cozzano contro il senso di equità che dovrebbe ispirare ogni scelta politica. Contro quell’equità che si accompagna all’efficienza, perché impone di scegliere in base al merito e non all’appartenenza, sia essa politica o familiare. Contro quel senso d’equità cui mai si dovrebbe rinunciare, soprattutto in una regione come la Calabria, con un tasso di disoccupazione doppio di quello nazionale e con un’elevata emigrazione intellettuale. Per ultimo, rattrista apprendere come il senso di responsabilità non riesca a prevalere sulle rivendicazioni di parte, neanche quando la gravità del momento impone scelte istituzionali importanti e di alto contenuto simbolico.
Naturalmente non sfugge ai telespettatori che esiste un lato della Calabria diverso da quello visto in televisione. È la Calabria fatta di studenti, d’imprenditori, di rappresentanti istituzionali che, con difficoltà maggiori che in altre parti del Paese, danno il loro contributo quotidiano alla vita civile, culturale, economica della regione. Si tratta proprio di quella parte della società più colpita dall’immagine negativa emersa da quelle trasmissioni, e che maggiormente paga le conseguenze di un certo modo di fare politica.
Tra le conseguenze, la prima è lo sconforto. La comprensibile perdita di speranze, che prevale su molti e che spinge i giovani a cercare altrove le possibilità di costruirsi un futuro. Sono quei giovani, come quelli visti in televisione, penalizzati dalla politica dei favoritismi e dei privilegi. La seconda conseguenza, forse più importante, è che quel modo di fare politica, mina alla radice le possibilità di crescita della regione. Essa offre, infatti, ai calabresi un quadro distorto di incentivi. Se in una regione, non è il merito o la competenza a prevalere ma, piuttosto, l’appartenenza, perché mai un giovane dovrebbe studiare, imponendo a se stesso e alla famiglia dei sacrifici? Perché mai un imprenditore dovrebbe rischiare quando, invece, può godere di un qualche beneficio o di qualche concessione? Per chi agisse mosso dalle convenienze relative, sarebbe più profittevole, infatti, cercare di entrare nei meccanismi del consenso e, piuttosto che investire in conoscenze o sostenere un rischio, cercare di accaparrarsi una qualche posizione di rendita all’interno del circuito politico. Il risultato di uno schema siffatto, in cui non è il merito ma l’appartenenza a pagare, è che le persone indirizzano risorse, energie e potenzialità in attività e settori improduttivi, cercando rendite di posizione garantite dal privilegio. Per usare le parole degli economisti, le persone trovano conveniente divenire “cercatori di rendite” piuttosto che “imprenditori”. E ciò, naturalmente, si riflette sulle possibilità di crescita della regione.
Ne è riprova ciò che è accaduto in altre regioni del Mezzogiorno, come l’Abruzzo, il Molise o la Basilicata. Solo qualche decennio addietro, le condizioni di sviluppo di queste regioni erano simili a quelle della Calabria. Nel tempo, Abruzzo, Molise o Basilicata hanno ridotto il divario rispetto al resto del Paese. La Calabria, invece, pur partendo da condizioni simili a quelle delle regioni citate, è rimasta indietro. Quali le ragioni di ciò? Probabilmente quella trasmissione televisiva ci ha fornito alcune risposte in maniera assai più immediata di una lezione di economia.
Nicola Ostuni
Vittorio Daniele
Docenti Università Magna Graecia di Catanzaro
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