Quickribbon Occhio su Roccella: I RAGAZZI DELLA LOCRIDE! (da l'Unità)
_@_OcchiO su Roccella _@_ Scelti per Voi: Camilla che odiava la politica - Autore: Luigi Garlando - Casa editrice: Rizzoli. - (Camilla ha dodici anni e vive in un paese di provincia insieme al fratellino e alla mamma. Il papa, in passato braccio destro del Primo Ministro, non c'è più: si è suicidato in carcere sei anni prima, dopo essere stato accusato ingiustamente di corruzione. Da allora Camilla odia la politica e tutto ciò che ha a che fare con essa. Ma un giorno in paese arriva un barbone, che prima la aiuta a ribellarsi a un gruppo di bulli della sua scuola, e poi, piano piano, le insegna che cosa sia la politica, quella vera, quella a cui il suo papa aveva dedicato tutto se stesso. E grazie a quelle lunghe chiacchierate Camilla impara a far pace con la politica e con il mondo, quello dentro di sé e quello in cui vive.)

AdnKronos News

giovedì, ottobre 20, 2005

I RAGAZZI DELLA LOCRIDE! (da l'Unità)


Calabria, la rivolta dei ragazzi
Cinque mesi fa Fortugno disse: so cosa vuol dire vivere nell'angoscia
di Enrico Fierro


Dolore, Dignità, Sdegno - Una folla enorme per l'addio a Franco Fortugno. Il lenzuolo bianco dei ragazzi, il gelo attorno al ministro La Loggia (da Berlusconi solo un telegramma). Prodi, Fassino e D'Alema: «Per la Calabria servono risposte straordinarie».
I ragazzi di Calabria sono uguali agli altri ragazzi d'Italia. Gli stessi orecchini, i jeans scoloriti dei maschi e gli ombellichi al vento delle ragazze. Tutto uguale, senza alcuna differenza con i loro coetanei di Treviso. Gli stessi libri. Identici pensieri e preoccupazioni. La versione di latino. Il primo bacio. Gli amori e il cuore che batte. La discoteca e la tariffa del cellulare, quella più conveniente che ti permette di chiamare e videochiamare gli amici. Le stesse parole.
I ragazzi di Calabria sono belli come tutti i ragazzi della loro età. Vivono in questa fetta d'Italia dove i paesi hanno nomi che fanno tremare (Africo, Siderno, Locri, Platì...) e hanno un problema che a Treviso i loro coetanei ignorano. Una lue che pesa sul loro presente e alita un fiato ammorbante sul loro futuro. Si chiama 'ndrangheta, mafia, ed è una consorteria di uomini ricchissimi e spietati. Gente che risponde ad una sola regola, la forza, e che per mantenere un potere arcaico che si trasmette in modo dinastico per grandi famiglie, ha bisogno di controllare tutto. La tua città, la tua casa, il tuo lavoro. Finanche la tua vita. l ragazzi di Calabria che vivono nella Locride si sono ribellati. Gli chiedo di incontrarli proprio nel giorno dei funerali di Franco Fortugno. Mi chiedono di vederci davanti al loro liceo classico. «Ivo Oliveti», si chiama, ed è una vecchia scuola dalle aule grandi e austere, con il giardino di palme all'ingresso, il tricolore sbiadito e la bandiera dell'Europa. Penso che siano straordinari questi ragazzi di 14, 15, 16 anni per quello che hanno fatto: per la prima volta sono scesi in piazza a Locri, regno dei boss Cataldo e Cordì, per dire alla 'ndrangheta «ci fai schifo, fuori dal nostro futuro». Hanno trascinato migliaia di giovani come loro. «Vediamoci al nostro liceo». Quelle mura, i professori che insieme a loro leggono e commentano il giornale in classe, i libri. Si aggrappano a queste povere e preziose cose come dei naufraghi nell'Oceano ad un fragile pezzo di legno. Il loro Oceano si chiama mafia e sta provocando onde che rischiano di spazzare via la Calabria. Arrivano. Sono una ventina. Parlano i ragazzi di Calabria. Il cronista, che è padre e sa che qui più che in altri posti, si ha il dovere di difendere i giovani dalla loro generosità, impone di non mettere nomi. Solo iniziali. Loro, per tutta risposta scattano foto con una digitale. «Te le mandiamo, le pubblichi sul giornale. Non abbiamo paura ili mettere le nostre facce contro i mafiosi». Penso ai loro genitori. Quelle foto non le pubblicherò mai!.

- La parola a loro.

M.R. (ragazza): «Ci chiedi perché siamo scesi in piazza con quello striscione ("Omertà la loro forza. Noi la loro fine?"). Semplice: perché non se ne può più. Perché la mafia è il nostro passato. Un mostro che vuole divorare il nostro futuro. Ci chiedi se è stato difficile convincere gli altri. No. Lunedì, quando siamo tornati a scuola, le parole non sono servite...».

A.M.P. (ragazza): «Sì, è stato quasi un miracolo. Non ci siamo parlati, ma tutti avevamo lo stesso pensiero in testa. Dobbiamo fare qualcosa. Reagire, dare noi la sveglia a Locri e à tutti i calabresi...».

V M. ragazzo): «Qualche discussione l'abbiamo avuta, ma solo su come organizzarci. C'era da raccogliere i soldi, fare lo striscione. Dobbiamo dire no alla mafia, senza giri di parole. Fortugno lo hanno ammazzato i mafiosi che comandano qui; altro che "orribile omicidio", "triste frangente". La mafia è mafia e uccide...».

U.M. (ragazzo): «E nell'indifferenza. Guarda questo manifesto (titolo: "Fermiamo la carneficina", elenco di dieci morti innocenti e senza giustizia), dice tutto. A maggio, il 24, a Siderno hanno ucciso un imprenditore di 34 anni, sotto casa sua solo perché non pagava il pizzo...».

G.M. (ragazzo): «Sì, qui la 'ndrangheta la respiri giorno per giorno. Ci vivi gomito a gomito con i mafiosi. Si sanno i nomi delle "famiglie", si sa chi sono i picciotti. Li incontri al pub, sull'autobus, ne incroci gli sguardi...».

F.Z. (ragazza): «E basta un'occhiata, un gesto che non capisci, una parola che in altri luoghi d'Italia ha un significato e qui un altro, per compromettersi».

U.M. (ragazzo): «Lo sai qual è la frase più usata da questi? "Nun sa cu sugnu eu"(Non sai chi sono io)...».

M.F. (ragazza): «E sai cosa ti chiedono sempre, in modo ossessivo? A chi appartieni ... Una frase che dice tutto, l'appartenenza, la famiglia, quanto conti. Perché per loro questi sono i valori, non lo studio, un libro letto, la vita che ti costruisci con fatica, no: l'appartenenza...».

G.P. (ragazzo): «Non esagerate, che la mafia esiste pure a Milano...».

F.Z. (ragazza): «Certo, ma qui la 'ndrangheta uccide, a Milano no: lì fa affari, investe i soldi che guadagna qui...».

M.R. (ragazza): «Ci chiedi cosa faremo dopo il liceo? Io andrò via, non voglio restare più in questa terra. Il futuro è dovunque, non qui... ».

G.P. (ragazzo): «Bisogna restare, invece, dare l'esempio, costruirsi un futuro fuori e tornare qui a fare gli imprenditori, i medici, gli avvocati. Se andiamo via tutti resteranno solo loro, i boss, i vecchi, chi non ha avuto fortuna...».

G.C. (ragazza): «Noi siamo fortunati. Abbiamo buone famiglie, frequentiamo il liceo, noi siamo l'elite, non possiamo fuggire».

F. Z. (ragazza): «La nostra prof., che negli anni Settanta faceva le battaglie per la rinascita della Calabria, ci ha detto che è rimasta perché sperava nel cambiamento. Oggi si sente una sconfitta. Vivere qui, in un posto dove ci sono tre cinema nel giro di 80 chilometri è difficile. E se vuoi qualcosa in più per divertirti, vivere una serata diversa devi andare a Reggio, cento chilometri».

M.Z. (ragazza). «Smettetela, non diamo sempre l'immagine di una Locride abbandonata. Qui c'è poco, si sa, ma qualcosa si muove. A Roccella c'è un ottimo festival jazz. A Gerace una rassegna di musica e architettura, a Caulonia il Taranta Power. Non è tutto abbandono».

M.R. (ragazza): «Ci chiedi dei nostri genitori. No, non ci hanno ostacolato. Sono preoccupati, certo, ma ci hanno detto di andare avanti, mio padre è orgoglioso per quello che sto facendo. E vero ragazzi? (I ragazzi rispondono in coro: Sì...)».

G.C. (ragazza): «Speriamo che dopo i funerali e le lacrime l'Italia non si dimentichi di noi. È accaduto già tante volte, troppe volte. Ecco, sarebbe bello se i grandi nomi della cultura, dello spettacolo, del giornalismo venissero nei nostri paesi a tenere conferenze, a fare spettacoli, semplicemente à farsi vedere in giro. Sarebbe un messaggio di fiducia. Non può finire così. Noi dobbiamo battere la mafia una volta per tutte. Abbiamo bisogno di atti concreti, ma soprattutto di non smarrire la speranza. Vogliamo sentirci italiani...».

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